Capita con una,certa frequenza, di notare interesse per il passato del nostro paese. A volte mi si chiede qualche notizia “antica” del nostro territorio, a volte qualche “culacchiu” della civiltà contadina, a volte mi sento dire “come facevate ai tempi vostri?”.
Dopo una buona chiacchierata su questo bisogno emergente di identità tra i giovani, un amico mi ha passato questa sua “memoria”, che poi e la mia e di tanti miei coetanei. Mi è sembrata interessante e la metto a disposizione dei lettori.
Spero di averne altre di letture interessanti come questa per poter soddisfare la curiosità o, meglio, il bisogno di conoscenza del nostro passato, nella speranza di contribuire alla realizzazione un buon futuro.
Buona lettura.
Nicola Gennachi
Fotogrammi del paese
Come abbiamo avuto occasione di dire anche altrove, i ragazzi e le ragazze degli anni cinquanta e sessanta non avevano molte possibilità di frequentarsi, né c’erano i mezzi di comunicazione di oggi. Di solito le ragazze stavano a casa ad imparare i lavori domestici: cucire, ricamare, prepararsi il corredo e le loro uscite erano solo quelle della messa. Dalla fine degli anni cinquanta, però, si comincia a diffondere l’uscita per passeggiare che le amiche a gruppi facevano la domenica sera nella strada detta, appunto, strada del passeggio. A Veglie si trattava di via Vittorio Veneto la quale, agli inizi degli anni sessanta, si riempì di giovani tutte le domeniche sera, a cui poi si aggiunsero anche i sabati. Nei primi anni del “passeggio” sulla terrazza della casa di Alfredo Casavecchia c’era un grande altoparlante “Geloso” che diffondeva una piacevole musica su gran parte della strada. Questo signore era uno dei primi che a Veglie vendeva elettrodomestici, e quindi la diffusione di canzoni era da considerare un veicolo pubblicitario. Bisogna dire che le macchine erano poche, perciò la lunghissima via Veneto, girando fino al Parco delle Rimembranze, la domenica era affollata di gente a piedi che passeggiava. Però il primo in assoluto a vendere apparecchi tv è stato nel nostro paese un signore che si chiamava “Otello”, che aveva il negozio in via S. Giovanni, con esposto in vetrina un televisore acceso “Radiomarelli”, che noi bambini già negli anni cinquanta ci fermavamo affascinati ad ammirare, specie quando veniva trasmesso “Rin tin tin” o “Lassie”.
Come avvicinarsi ad una ragazza.
Ma, tornando alla passeggiata di via Veneto: quella fu la prima vera opportunità per l’incontro di giovani di sesso diverso per stare insieme e di conoscersi. Ma qual era l’approccio a quei tempi fra due che non avevano scambiato prima neanche una parola? Beh, vi era tutto un rituale da seguire per arrivare alla conclusione auspicata. E’ necessario premettere che di solito il ragazzo aveva già adocchiato in precedenza la ragazza a cui voleva proporsi, magari vicino casa o in precedenti uscite: la sua dichiarazione cioè non poteva avvenire senza una fase di corteggiamento a distanza, fatto soprattutto di un costante stazionamento ogni sera nella strada dove abitava la ragazza. Lei, se ci stava, trovava il modo di farsi notare con fugaci apparizioni sulla porta. Ad ogni modo il vero momento decisivo avveniva appunto durante il passeggio. Lì la ragazza offriva l’occasione al pretendente di dichiararsi. Così lei, che opportunamente si era anche messa in mezzo a due altre amiche, era raggiunta dall’aspirante fidanzato il quale doveva, poverino, anche chiedere all’amica di farsi da parte per poter conferire con quella che stava al centro. La domanda era sempre la stessa, o quasi: “Signorina, posso dirti una parola?”. Alla risposta affermativa della ragazza, o anche alla sua non risposta, il giovane continuava dicendo che da tanto tempo l’aveva notata, che vorrebbe tanto conoscerla meglio, ecc.. Ovviamente la buona riuscita dell’approccio dipendeva anche molto dalle capacità dialettiche e convincenti del ragazzo. Poteva anche succedere che la ragazza cacciasse in modo deciso e scortese il corteggiatore e, in questo caso, per lui era un azzardo tornare all’attacco una seconda volta. Se invece il primo incontro si era rivelato interlocutorio (ma mai con risposte sfacciate e troppo entusiaste della ragazza) continuava più di qualche sera, fino a quando il ragazzo non le chiedeva di dire “sì”. Subentrava così il fidanzamento a casa.
Vita da fidanzati in casa
Che cosa facevano allora i due fidanzatini a casa? Erano osservati a vista dalla mamma, seduti a guardare la televisione, che allora cominciava ad entrare nelle nostre case con le sue trasmissioni assai ingenue, se viste con gli occhi smaliziati di oggi.
Indimenticabile era di quel periodo il “Carosello”, antesignano dei moderni spot pubblicitari, che la sera faceva divertire grandi e piccoli. Le sue scenette hanno immortalato personaggi dei cartoni animati, come Calimero, Carmencita, Topo Gigio ed hanno creato la fama di tanti attori dello spettacolo del tempo. Chi fra gli anziani come me non ricorda, a proposito della pubblicità di allora, “Ercolino sempre in piedi”, quel pupazzo che non si lasciava mai sdraiare, che si poteva ottenere con i punti della Galbani. “Dopo Carosello tutti a nanna”, si diceva in quegli anni, ma a volte io seguivo anche le trasmissioni serali con gli indimenticabili sceneggiati che mi appassionavano tanto come “Il tenente Sheridan”, “La freccia nera” o i quiz (dal “Musichiere” di Mario Riva al “Lascia o raddoppia di Mike Bongiorno”).
Anni settanta: la contestazione
Passando con un piccolo salto ai primi anni settanta, quello fu il periodo della contestazione giovanile del post sessantotto, e anche a Veglie cominciarono a vedersi in modo più spregiudicato le ragazze con le minigonne, mentre noi ragazzi con indosso ridicoli pantaloni colorati a zampa d’elefante e assurde camicie a fiori, avevamo i capelli lunghi e ci commuovevamo sulle note di Imagine, scimmiottando John Lennon. Curavamo in modo maniacale la nostra bella zazzera, andando ogni sabato a farci lo sciampo nel salone di mesciu Ninu e mesciu Carlu. Naturalmente quelle trasformazioni giovanili non erano indolori, ma avvenivano dopo contrasti e profonde discussioni con i genitori poco inclini a tali inconcepibili novità, anzi era il periodo di un grande scontro generazionale, in cui i grandi (matusa) erano ben lontani dal capire le esigenze dei ragazzi.
La discoteca
I primi balli che abbiamo fatto in un locale sono stati al “Gufo”, una cantina in via Spani, al centro storico di Veglie, in cui furono sistemate le prime luci psichedeliche. Poi c’è stato il periodo del “Mirage”, che era una delle prime discoteche per noi ventenni degli anni tra il sessanta e il settanta, situata all’entrata di Novoli arrivando da Veglie (adesso si chiama “Area 51”). Lì si ballava di sabato e di domenica e l’orario di chiusura poteva al massimo arrivare fino a mezzanotte. Erano quelle le prime vere uscite degli adolescenti e soprattutto delle ragazze, e il ballo in quel locale si alternava, principalmente nel periodo di carnevale, alle serate danzanti organizzate tra le proteste dei genitori nelle nostre stesse case, dove predisponevamo le feste a base di patatine fritte unicamente allo scopo di ballare i lenti, che ci facevano tanto impazzire. Mentre il giradischi suonava il tanto desiderato ballo della mattonella qualcuno spegneva le luci, ma c’era sempre qualche familiare che le riaccendeva, distruggendo quei momenti di così intensa magia.
La macchina di papà e il “mangianastri”
Gli anni settanta sono stati anche l’epoca della visione di film più ricercati, che noi ragazzi andavamo a vedere nei cinema di Novoli o di Trepuzzi, nelle cui sale si proiettavano pellicole di seconda visione. Ma erano anche gli anni, quelli, in cui noi giovani capelloni cominciavamo a disporre della macchina di papà per girare nei paesi vicini a caccia di ragazze. Io e il mio gruppo non eravamo da meno e andavamo in giro o con una 124, o con una Mini Minor, oppure con una 850. Anch’io potevo a volte disporre dell’auto di mio padre: una 127 equipaggiata di autoradio con mangiacassette stereo Otto, in cui si inserivano quelle enormi cassette musicali il cui nastro spesso si attorcigliava all’interno. In questo modo ricordo di aver perduto una cassetta del “Disco per l’estate” a cui tenevo molto: il nastro si avvolse completamente nel meccanismo interno ed io dovetti tagliarlo.
Ad ogni modo ogni sera, utilizzando la macchina a turno, mettevamo 200 lire di benzina ciascuno ed andavamo a scorrazzare per l’intera serata passando da un paese all’altro: da Novoli a Leverano, da Copertino a Salice. Quando pioveva cercavamo appunto un film da vedere in qualche cinema dei dintorni, oppure ci rifugiavamo al bar Sport, dove ci giocavamo a Briscola o Tressette una bevuta di birra con gassosa. Qualcuno di noi si ostinava particolarmente a Flipper per raggiungere il record di punti. Il biliardino rappresentava un’altra sfida molto combattuta: il tutto avveniva in una nuvola di fumo che non consentiva di vedere nemmeno ad un metro di distanza. A volte invece facevamo delle lunghe sfide a ping pong, che si trovava negli anni settanta nella cantina del Palazzo Cacciatore. Quando rincasavamo la sera seguivamo tuttiHappy days, uno di primi telefilm per ragazzi, da cui imitavamo la gestualità di Fonzie indossando un giubbotto nero.
L’Alaska
La domenica pomeriggio, soprattutto d’estate, anche noi ventenni facevamo una capatina all’Alaska, il parco giochi dell’allora famosa industria di gelati. Noi ci andavamo perché il luogo era affollato anche di ragazze e la gente era così numerosa che le macchine parcheggiate si estendevano per un lungo tratto di via Bosco. Nel parco giochi alcuni facevano sfoggio delle prime polaroid a sviluppo istantaneo, mentre altri facevano bella mostra di sé con le prime cineprese superotto, che oggi sembrano la preistoria del cinema amatoriale.
Sempre all’Alaska andavamo ad assistere alla partita della squadra di calcio femminile, che militava in serie A e aveva delle calciatrici di fama internazionale, mentre per quanto riguarda il calcio maschile spesso la domenica andavamo anche ad assistere alla partita del Veglie e il campo sportivo “F. Minetola” era pieno all’inverosimile, tanto che noi giovani ci mettevamo seduti sul muro di cinta del campo. A questo proposito ricordo che quando malauguratamente il pallone andava a finire fuori dal muro, in mezzo agli ulivi esterni, c’era chi correndo s’impadroniva di esso e non lo restituiva più.
Negli anni settanta inoltre molto attesa era per noi la domenica per via delle schedina, che spesso giocavamo mettendo una quota ciascuno nella speranza del fatidico tredici, che non è mai venuto. Ricordo però un dodici che ci rese felici, ma che dividendo le varie quote ci fece guadagnare solo qualche lire ciascuno, che venne poi utilizzata per la giocata successiva. Circa verso la fine degli anni settanta si diffuse fra i giovani (e non solo) la novità dei baracchini, che erano degli apparecchi ricetrasmittenti installati di solito in auto (ma anche a casa) con cui prima dell’avvento dei cellulari si comunicava via etere. Anch’io, nella mia 127, installai il mio, per mezzo del quale comunicavo con il nome in codice “Alfa 6”. Ma ormai l’era dei telefonini e della comunicazione facile era alle porte e i baracchini erano destinati a restare solo a livello strettamente amatoriale. Si cominciarono a diffondere anche i primi computer, con il DOS come sistema operativo, per cui era indispensabile conoscere tutta la sintassi per scrivere la corretta stringa di testo opportuna.
Ma tornando ai momenti d’incontro fra i giovani, con gli anni ottanta è completamente scomparso nei paesi il passeggio e con la diffusione massiccia delle auto e soprattutto con la libertà assoluta, fra ragazzi e ragazze gli incontri non hanno più avuto bisogno di particolari procedure tortuose.
Di V.P.