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RECENSIONE : LITHRATTU TI EIE -DI GIOVANNI TONDO

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 Casa editrice: Amici Della “A. De Leo”, Brindisi

“A ‘STU ‘LITHRATTU’ FATTU A STU PAESE
FARCHE CCOSA PO DDARSI CA NON C’ETE;
PERÒ NO MM’ANE TATU NNU ‘TURNESE’
CU SCRÌU, MMACÀRI, COSA CA NO BBÈTE…

Così dice l’autore di “Lithrattu ti Eie” in una delle 905 strofe in rima – per lo più quartine – magistralmente composte in dialetto vegliese e intercalate da 119 fotografie in bianco e nero. Dobbiamo dar credito all’artista? Le sue pennellate, precise e variegate, non lasciano trasparire lacune!

L’autore del libro affida a tre personaggi, Nunn’Angilu, Zziù Ntoni e Messciu Giuanni, il compito di girare per Veglie, ognuno per conto proprio – partendo rispettivamente da Santu Itu, Li Prantère e Li Salère – per osservare e prendere appunti sulle strutture architettoniche e sullo svolgersi della vita quotidiana, con l’accordo di ritrovarsi ogni tanto per raccontare il tutto ed inserire nuovi colori su quell’immaginaria tela che dovrà rappresentare fedelmente il Paese. I Tre mantengono l’impegno e, attenendosi scrupolosamente alla realtà, raccolgono vario materiale.

Il lettore inizia a seguirli nel loro percorso, solo che, essendo questi investiti della stessa squisita sensibilità umana e religiosa dell’autore, ad un tratto s’accorge d’averli lasciati dissolvere nel nulla: è sempre e comunque la figura di Giovanni Tondo che si trova davanti. E scopre via via un osservatore attento, capace di cogliere il valore delle piccole cose; di ridere e di far ridere, ma anche di esternare fortissima indignazione verso la piccolezza di chi è incapace di vera pietà; un uomo di grande sensibilità, con un coinvolgimento profondo verso la sofferenza dei miseri.

Giovanni Tondo è Sacerdote, ma tace questa sua dignità. E’ l’uomo che parla, con una religiosità non astrusa e distaccata: dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare pare essere il suo motto. Così in ogni avvenimento offre, semplicemente, con naturalezza, più che lezioni, consigli di vita cristiana, di fede vera, (sta al lettore coglierli!) alzando un po’ la voce solo quando vi è sopraffazione o violenza.

Veglie viene dipinto in molteplici sfaccettature. Ecco gli uomini, con i soprannomi, quasi a volerli abbracciare familiarmente tutti quanti! E poi, i rapporti interpersonali; le strutture architettoniche; gli antichi mestieri; le feste tradizionali, nelle loro componenti religiose e laiche; le usanze; i piatti tipici; i giochi dei bimbi e il fracasso dei ragazzi; leggende, racconti e preghiere tramandati oralmente da antiche generazioni; la campagna con le stagioni propizie e quelle più ingrate; la miseria più nera; la malattia; il dolore; la morte. Ma anche, senza riserve, la gioia, lo svago e le vacanze!

Nell’introduzione al libro, Giovanni Tondo invita i suoi concittadini a riappropriarsi della propria cultura popolare, di cui il dialetto non è che una delle tante componenti: scrivendo “Litrattu ti Eie” ha voluto dare il suo contributo.

Al termine del libro, invece, fa un’accalorata esortazione, quasi testamentaria, ai concittadini, affinché prendano coscienza che il Paese è degli abitanti, per cui a loro spetta la salvaguardia dei monumenti storici e la vigilanza sui progetti di chi ci vuole mettere le mani. E raccomanda che, al momento delle elezioni, la scelta venga indirizzata verso persone capaci, evitando personali favoritismi di sorta:

“MA QUANNU, QUANNU MAI BBI DDICITÌTI

CU NO DDURMITI E CCU BBI DDISSCITÀTI,

ÙI CA, A MMANU, LI RÈTINE TINITI

TI ŠTU PAESE, A DDONCA SITI NATI?

ÈIE SI CHIAMA! ALL’ERTA! NO DDURMÌTI!

UARDATI QUANTE COSE S’ÀNE FFARE…

E NO PPINZATI SULU CU FFAURÌTI

LU FRATE, LU CUCÌNU O LU CUMPARE!…”

Lithrattu ti Eie: più che un semplice quadro, un filmato di storia vegliese lungo 210 pagine, da scorrere senza pigrizia e senza premura. Se da un lato la lettura del dialetto può risultare più impegnativa di una normale lettura in italiano, dall’altro potrà essere occasione di un gioioso coinvolgimento familiare. Sicuramente, al termine del libro, nessuno oserà dire d’aver sciupato il proprio tempo!

In alcune città ha avuto grande successo la lettura dei classici aperta al pubblico: a Milano, per esempio, la lettura del Purgatorio di Dante entro la chiesa S. Maria Delle Grazie. Sarebbe bello che in occasione dell’indicendo memorial dedicato a don Giovanni Tondo, ai vegliesi venisse offerta l’opportunità della lettura di questo loro ritratto entro la chiesa parrocchiale Maria SS del Rosario, che lo ha visto Pastore e Guida.

8 Marzo 2020

Dania