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Primo Fronte – Fronte Francese 1940 (Michele Nicolaci)

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Primo Fronte – Fronte Francese 1940 (Michele Nicolaci)

Il 10 aprile 1940 sono partito dal distretto militare di Lecce. Insieme con me c’erano altri compagni della provincia di Lecce, si tratta di Rizzello Giovanni di Porto Cesareo, Negro Pasquale di Strudà, D’Amico Giuseppe di Casarano, Crespino Giovanni di Alliste, De Pascalis Leonardo di Collepasso, Cazzetta Giuseppe di Palmariggi, Giorgio Montanaro di Matino e Bianchini Santo di Gagliano.
La mia destinazione è stato il Deposito di Verona, distaccamento Illasi, destinato al 1° Battaglione Artieri, Seconda Compagnia.
Il mio indirizzo militare era il seguente: “Geniere Nicolaci Michele – Primo Battaglione – Seconda Compagnia – IV Reggimento Genio, Bolzano, Deposito Verona –  Distaccamento Illasi.”

Nel mese di maggio io e i miei commilitoni siamo stati destinanti al fronte della Francia. Siamo giunti ad Ursio e, a piedi, a Claviere e così abbiamo iniziato a prepararci per la guerra.
E’ arrivata la data della dichiarazione di guerra, il giorno 10 giugno 1940: abbiamo iniziato così la via del nostro destino.
Il 12 abbiamo lasciato Bousson e, a piedi, andavamo in mezzo a quelle tristi montagne, in gruppi di sette alla volta, verso il fronte grande sotto la montagna di Claviere e Monginevro, l’ultima montagna italiana. All’improvviso, mentre camminavamo, si sentì sparare e nel frattempo sono arrivate due camicie nere, tutti lacerati, ci dissero che il nemico era ad appena due chilometri da noi. Il comandante di compagnia, capitano Buzzi, disse: “Caricate i fucili!” e così facemmo. I proiettili nemici colpivano le cime degli alberi di pino, il nostro capitano diceva che quando passavano fischiando era ormai passato il pericolo, quello che invece non si sentiva era davvero pericoloso. Il nostro capitano aveva fatto la guerra d’Africa e sapeva davvero tante cose. Erano rimasti ormai gli ultimi soldati che dovevano trasferirsi, all’improvviso arriva un proiettile nemico che scoppiò proprio  vicino a noi, fu ferito Alaimo Luca Zattoni e il sergente Zecchina; Alaimo fu preso da un suo amico che lo portò nella Croce Rossa, per gli altri due si trattava di una cosa leggera. Attraversammo finalmente tutti il primo ostacolo.

Abbiamo vissuto 14 giorni di battaglie sul fronte francese, sono stati pochi ma davvero duri. Stavamo appostati sotto gli alberi e ci sparavano con gli obici, si vedevano cadere i nostri compagni; venivano i nostri ufficiali e ci dicevano di andare avanti, anche aiutando i nostri compagni feriti, così come meglio si poteva si andava avanti lo stesso.
Finalmente sono passati quei 14 giorni di inferno. Tanti giorni non avevamo neanche da mangiare perché non poteva passare il rancio per le troppo sparatorie del nemico contro di noi.
Noi, sul monte Chaberton, averamo quattro fortezze da 420 ed i francesi ne sprofondarono due, ma finalmente abbiamo avuto la fortuna di avere la vittoria dalla nostra parte e così il giorno 24 giugno fu firmato l’armistizio ed allora siamo stati tutti allegri, quelli che ce l’hanno fatta a scampare la pelle, però si piangevano anche i nostri compagni che erano rimasti sotto terra per difendere la nostra amata Patria.

Nella sera del 24 giugno sentendo, appunto che c’era stato l’armistizio, i nostri cucinieri hanno portato le vivande – dopo parecchi giorni che non ne cucinavano – ci hanno fatto il pranzo con pastasciutta, vino, cioccolato, pane, carne: tutto ci hanno portato! Era sera tardi, eravamo attendati sotto gli alberi, allora hanno chiesto di andare, uno per tenda, a prendere il rancio. Da noi è andato Negro Pasquale, di Strudà – provincia di Lecce, è arrivato un proiettile di obice, per fortuna c’era un piccolo fiume proprio vicino al campanile dell’orologio di Claviere e non scoppiò, ma ognuno lasciò tutto come si trovava e scappò verso la tenda. Nella confusione che si era creata per quel proiettile, il nostro amico gridava a ci chiamava per nome, al buio, noi rispondevamo e dicevamo: “Qui, qui!” ma questo Negro lo sentivamo brontolare dicendo: “Porcaccia matosca! ma dove state?!” così infuriato è arrivato e ci ha raccontato il fatto come era accaduto (questo che io vi sto raccontando). Era stato firmato l’armistizio, ma nessuno di noi purtroppo sapeva che la guerra non cessava subito, ma sarebbe finita alle ore 1,35 della notte, per questo i francesi – che avevano perduto la guerra – sparavano ancora alla grande contro di noi, proprio perché avevano perduto tutto; dopo questa sparatoria chi ha avuto il coraggio di andare a prendere il rancio si è abbuffato, gli altri si sono grattata la pancia.

Poi, nel mese di luglio, dopo essere scesi dal Fronte occidentale, ci hanno riferito che doveva venire sua eccellenza Benito Mussolini, di fatti è venuto assieme a molte macchine e tutti i suoi seguaci, una macchina più bella dell’altra; Benito Mussolini andava con un macchina senza cappotta, molto semplice. Ogni tanto scendeva e domandava ai solfati come erano stati sul Fronte e ognuno diceva il suo parere, da me non si è fermato e non ho potuto dire nulla. Quel giorno si fece una grande festa e noi ci sentivamo tutti orgogliosi che avevamo visto Benito Mussolini in carne ed ossa. Nel mese di luglio, quindi, non ricordo il giorno con precisione, siamo rientrati nel nostro Deposito di Verona e ci hanno mandati in un paese chiamato Caldiero, provincia di Verona; il comandante di Battaglione ci concesse una licenza premio di 30 giorni per andare a vedere le nostre famiglie ed abbracciare i nostri cari genitori, fratelli e sorelle e tutti gli altri conoscenti.

Tratta da “I miei ricordi della Grande Guerra” di Michele Nicolaci- Veglie

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