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Recensione: L’amico Ritrovato di Fred Uhlman

Recensione: L’amico Ritrovato di Fred Uhlman

Casa editrice: Feltrinelli

Benché le parole Nazismo, Lager e Shoah evochino fatti mostruosi che toccano profondamente la nostra sensibilità di appartenenti al genere umano, è solamente nel momento in cui dalla massa anonima di Martiri si delinea un nome o un volto conosciuto che la sofferenza vera s’impossessa della nostra anima, moltiplicandosi via via vorticosamente, per il totale numero delle vittime.

Fred Uhlman aveva ben chiaro questo processo psicologico, tant’è che fa dire al protagonista del suo libro:
Avevo sentito parlare di terremoti nei quali erano state inghiotte migliaia di persone, di fiumi di lava incandescenti che avevano travolto interi villaggi, di onde gigantesche che avevano spazzato via le isole. Avevo letto che un milione di persone erano annegate durante l’inondazione del fiume Giallo e altri due in quella dello Yangtse. Sapevo che a Verdun avevano perso la vita un milione di soldati. Ma non erano che astrazioni, numeri privi di significato, dati statistici, notizie. Non si può soffrire per un milione di morti. Quei tre bambini, invece, li avevo conosciuti […].

Che terribile tragedia, per il genere umano, la Soluzione Finale. Come è potuta accadere, davanti al mondo intero che stava a guardare?

Racconta, Fred Uhlman, perché il mondo sappia. Racconta, perché tutto ciò è accaduto, non a causa di stravolgimenti della natura, ma per opera dell’uomo contro i suoi simili.

Non sceglie situazioni shock per trascinare dritto dritto nell’orrore, ma spaccati di vita quotidiana, per far sì che sia il lettore ad elaborare l’importanza dei piccoli avvenimenti. Per questo parte dall’inizio, dall’apparire dei primi, sporadici e apparentemente goliardici, segnali d’intolleranza e di discriminazione, a cui seguiranno impedimenti, espropriazioni, esclusioni, divieti e persecuzioni, che colsero increduli  ed impreparati a difendersi gli ebrei, persino quelli di cittadinanza tedesca.

L’Amico ritrovato è ambientato in Svevia, un’amena regione della Germania, dove la vita scorre  tranquilla, finché inizia ad essere scossa dalle leggi razziali, accolte da molti non come preludio alla tragedia, ma come importante innovazione che porterà riscatto e gloria alla Nazione e, quindi, alla sua popolazione di razza pura.

Il romanzo narra di un importante rapporto di fraterna amicizia sorto tra due liceali, l’uno, Konradin  Hohenfels, aristocratico tedesco, l’altro, Hans Schwarz, figlio di un medico ebreo, entrambi nati in Germania.

Quando Hans, al precipitare degli eventi politici, sarà costretto ad  espatriare su consiglio-ordine dei genitori, avrà già subito il bruciante allontanamento da sé di Konradin e la delusione d’essersi visto   rinnegare l’amicizia. Questo era toccato a lui, che “avrebbe dato volentieri la vita per un amico”.

Ritroverà il suo amico a distanza di anni, in extremis, proprio nell’attimo in cui s’accingerà a compiere un semplice gesto intenzionato a chiudere la porta del cuore, per estrometterlo definitivamente dalla sua vita. Inutile aggiungere altri particolari della trama.

Un lungo periodo di storia vera scorrerà davanti agli occhi dei lettori in 92 pagine, impeccabili e comprensibilissime, ricche di particolari ma completamente prive di enfasi, sulle quali ognuno potrà trovare molto, ma molto, su cui meditare.

Di Dania

Immagine di Gerhard Gellinger da Pixabay

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