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Frammento di Cratere con Scena Fliacica – Veglie

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Frammento di Cratere con Scena Fliacica – Veglie

Il frammento ceramico illustrato nella foto potrebbe appartenere ad un cratere a campana a figure rosse di fabbrica italiota, databile generalmente nell’ambito del IV secolo a.C. Dai pochi elementi superstiti figurati sembra che si possa trattare di una scena comica, forse tratta dal repertorio delle commedie fliaciche.

È chiaramente impossibile, dati gli scarsi elementi, poter individuare sia il pittore che l’eventuale commedia rappresentata. Sul frammento si scorge la testa di un attore, di profilo a destra, che indossa una maschera, di cui si vedono i capelli, la fronte calva, le orecchie, gli occhi,
le sopracciglia e il naso; si intravedono anche i baffi e probabilmente il personaggio doveva essere anche barbato. Di fronte si scorge un altro elemento difficilmente classificabile: forse si tratta di un braccio sollevato (il sinistro?) del personaggio.

I vasi cosiddetti “fliacici” appartengono ad una classe particolare della produzione italiota a figure rosse, tra cui quella apula è la più ricca. Il nome deriva da Phlyax, che indicava sia un genere teatrale, sia i suoi attori, ma identificava anche una figura popolare, una sorta di demone della vegetazione, del corteo dionisiaco. Questi vasi raffiguravano singoli personaggi o intere scene tratti dal repertorio delle commedie fliaciche: si tratta di rappresentazioni comiche di carattere popolare che fiorirono in Magna Grecia e in Sicilia durante il IV e il III secolo a.C. ed assunsero forma letteraria grazie all’opera di Rintone, attivo a Taranto intorno al 285 a.C.

Le rappresentazioni fliaciche, nella loro forma figurata, hanno dei rari ma significativi precursori in tredici vasi attici a figure rosse e policromi e in due vasi corinzi a figure rosse, databili tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. circa. Tale classe vascolare, però, non ebbe un seguito nella Grecia propria, diversamente da quanto avvenne in Magna Grecia, dove ebbe un  ampio sviluppo prima a Taranto, poi a Paestum e, quindi, in misura minore, in Campania e Sicilia. Infatti, i vasi più antichi di questo genere dell’Italia meridionale sono stati attribuiti alla scuola apula del Pittore di Tarpoley e dei suoi seguaci e sono databili intorno agli inizi del IV secolo. Essi accompagnano la produzione apula a figure rosse e policroma (ceramica di Gnathia) nell’intero suo sviluppo sino alla fine del IV secolo. Già nel secondo
quarto dello stesso secolo vasi di questo genere appaiono a Paestum nell’ambito della produzione delle botteghe di Assteas e Python. In seguito, dopo pochi decenni, tali vasi compaiono in Campania e, nel secondo quarto del IV secolo, anche in Sicilia. Comunque, alla Puglia, vanno attribuiti sia l’inizio, sia quasi i due terzi dell’intera produzione.

La raffigurazione delle commedie fliaciche, o “ilarotragedie”, si riconosce facilmente rispetto agli altri tipi di rappresentazioni teatrali: infatti, il costume degli attori consisteva in un aderente calzamaglia, che simulava la nudità, imbottita all’altezza del ventre e del sedere e provvista di un enorme fallo. Su di essa poteva essere indossata una corta tunica o anche un semplice grembiule. Gli attori, che portavano naturalmente anche la maschera, agivano per lo più su palcoscenici rudimentali e quasi certamente allestiti per l’occasione, piuttosto che in strutture teatrali stabili. Molti vasi, di solito, presentano un solo attore o una coppia, mentre altri scene più complesse; molto più rare sono, invece, le raffigurazioni di episodi di commedie effettivamente rappresentate: è il caso di un noto cratere protoapulo del Metropolitan Museum di New York, proveniente da Ruvo di Puglia, sul quale, insieme alla scena della punizione di un ladro, sono incisi frammenti di trimetri giambici, interpretati come citazioni da una commedia.

La parodia e la comicità delle scene fliaciche, già insite nel ridicolo costume degli attori, si rivolgono soprattutto a tipi umani, ad episodi della vita quotidiana, a personaggi del mito, nonché ai personaggi delle grandi tragedie di età classica. Infine, non sono risparmiati neanche gli dei, che sono colti nelle loro debolezze e nei loro difetti prettamente umani. A questo ben si prestava, naturalmente, un dio popolare come Eracle, ma anche Apollo, Ermes e soprattutto Zeus costituiscono un facile bersaglio per gli strali della comicità fliacica.

Dott. Andrea Montanaro , 15 dicembre 2006

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